La recente serie “M – Il figlio del secolo”, tratta dai romanzi di Antonio Scurati, ha ottenuto in Italia un prevedibile successo di pubblico per due motivi essenzialmente: primo, il fatto che, volenti o nolenti e nonostante un secolo di distanza dai fatti, il fascismo continui ancora oggi a esercitare il suo fascino in molte persone. Secondo: il britannico Joe Wright, chiamato alla regia di questa produzione Sky Studios, si è basato su tale specifico aspetto per la realizzazione della serie, avendo cioè intenzionalmente sfruttato il potenziale seduttivo del personaggio-Mussolini e l’indubitabile magnetismo dei suoi discorsi, per ammaliare lo spettatore dall’altra parte dell’obiettivo. «È quello che abbiamo cercato di fare: ottenere che gli spettatori arrivino al punto di essere sedotti da Mussolini, che si identifichino. E si chiedano subito dopo come è potuto succedere. Questo è molto importante: è così che arriva il senso di distanza critica», ha rivelato il regista a Paola Zanuttini, nell’intervista pubblicata su Il Venerdì, supplemento di Repubblica, il 3 gennaio 2025.
Eppure c’è un episodio, al grande pubblico poco conosciuto, che racconta come fin dall’inizio si sarebbe potuto fermare “M – Il figlio del secolo”, nella sua efferata e violenta campagna di presa del potere. Nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1921 un centinaio di giovani si era radunato sulla spiaggia di Avenza, a Marina di Carrara. Erano giovani fuggiti da casa, reduci ed ex arditi tornati dalla guerra ma ancora assuefatti alla violenza; altri tentavano l’avventura perché non avevano soldi con sé. Tutti erano animati da un fervore che li aveva spinti sino a quel lido sul Tirreno da tutte le regioni italiane. Si trattava di cinquecento fascisti che, guidati da Amerigo Dumini, avevano intenzione di seguire la linea ferroviaria, all’ombra delle tenebre di quella afosa giornata di luglio, e sorprendere la vicina cittadina di Sarzana per espugnarla alle prime luci dell’alba (siamo infatti in una terra di confine, tra Toscana e Liguria).
Alle prime luci del sole, tuttavia, ad aspettare gli uomini di Amerigo Dumini – quello che sarebbe passato poi alla storia come l’assassino di Matteotti – c’era un minuscolo plotone di dieci uomini, che non avevano alcuna intenzione di far avanzare i facinorosi. A guidarli era il giovane capitano dei carabinieri Guido Jurgens, che si oppose con fermezza all’arroganza e alla violenza delle camicie nere, impedendo loro di conquistare la città di Sarzana e ricacciando gli invasori per la campagna ligure, dove ad attenderli c’erano i tanti contadini ed esponenti delle Leghe Rosse, stanchi dell’arbitrio e delle prepotenze degli uomini di Mussolini. Questa è la storia dei cosiddetti “fatti di Sarzana”, avvenuti il 21 luglio 1921, quando ci fu la prima vera sconfitta delle squadracce mussoliniane nella sistematica campagna di conquista del potere e di aggressione a tutti i loro oppositori, primi fra tutti i socialisti che amministravano “Sarzana, la rossa”.
Anche la serie di Joe Wright, all’inizio del terzo episodio, ricorda questo fatto. Non solo per l’eccezionalità dell’evento (la città ligure fu l’unica, assieme a Parma, a opporre una forma di resistenza agli uomini con il fez e il manganello), ma perché i “fatti di Sarzana” determinarono una crisi interna allo stesso fascismo, con Mussolini messo alle strette dai camerati più irriducibili che gli rinfacciavano la scarsa coerenza con gli ideali sansepolcristi del 23 marzo 1919. “Chi ha tradito, tradirà”, urlavano spesso gli oppositori interni del duce in quei giorni tormentati, alludendo al primo grande voltagabbana mussoliniano in occasione del suo abbandono del partito socialista. Erano Balbo, Grandi e Farinacci, esponenti di primo piano di quell’onda nera che presto avrebbe travolto l’Italia e le sue istituzioni.
Scrive Arrigo Petacco, nella prefazione al libro di Giuseppe Meneghini, La Caporetto del Fascismo. Sarzana, 21 luglio 1921 (Mursia, 2022): «a caratterizzare “i fatti di Sarzana” fu, in realtà, nel 1921 un episodio di crudele barbarie che Meneghini ricostruisce onestamente in tutti i dettagli, compresi quelli più scabrosi. Si trattò dell’assassinio di due giovinetti fascisti, Augusto Bisagno e Amedeo Maiani, rispettivamente di 18 e 17 anni non compiuti, di nulla colpevoli tranne che di essere fascisti, i quali, dopo essere stati catturati da una trentina di facinorosi, furono uccisi dopo lunghe torture e sottoposti, da morti, ad altri gravi e osceni oltraggi, prima di essere gettati nel burrone dove furono poi ritrovati sconciati in modo orribile». Non bastasse questo, la Lunigiana e Sarzana erano divenute anche lo scenario delle aggressioni compiute dagli uomini di un ras emergente di Carrara, ex legionario fiumano, che si chiamava Renato Ricci. L’arresto di quest’ultimo e dei suoi uomini da parte dei carabinieri fu la motivazione principale, ma non solo, della marcia dei fascisti su Sarzana in quel fatidico 21 luglio 1921, intenti appunto a liberare il loro “capitano” tenuto prigioniero nella locale fortezza.
Nella fiction di Sky lo scontro tra le cinquecento camicie nere guidate da Amerigo Dumini e la decina scarsa di uomini al comando del capitano dell’Arma Guido Jurgens viene ambientato di fronte all’ingresso della stazione, proprio sui binari del treno. Secondo quanto riportato dal libro di Meneghini, invece, «i carabinieri e il loro comandante giunsero all’appuntamento nello stesso momento in cui le squadre stavano affluendo nella piazza (dietro la stazione) e non ci fu il tempo materiale di organizzare un piano di difesa della forza pubblica»; ragion per cui il capitano Jurgens dispose i suoi uomini sull’imboccatura del viale che dal piazzale della stazione conduceva al centro della cittadina. Il seguito della vicenda raccontata nella fiction coincide con la storia ricostruita nel volume: subito dopo nacque uno scontro a fuoco nel quale morirono sei fascisti e un soldato regio, mentre il resto delle centinaia di squadristi se la dava a gambe per i campi, terrorizzato dall’inaspettata reazione dei militi dell’Arma. Anche in questa occasione, la fuga dei fascisti viene filmata da Wright con un registro quasi comico, mentre serissimo e inflessibile è il volto di Jurgens che non si piega alle minacce di Dumini e dei suoi accoliti.
Come è possibile raccontare fatti così tragici con un taglio grottesco? Risponde Scurati in un’altra intervista a Simonetta Fiori (sempre su Il Venerdì di Repubblica del 3 gennaio 2025): «mi spaventava il registro comico che rispondeva a una precisa scelta stilistica del regista. Sin dal nostro primo incontro a Roma, Joe Wright mi aveva comunicato la sua intenzione di confezionare una dark comedy che all’inizio mettesse in scena il Mussolini seduttore, il suo lato intrigante e fascinatorio. Il progetto era chiaro: attrarre lo spettatore in una zona di contatto con il personaggio, per poi raggelarlo con la violenza e l’abominio del tiranno».
Resta il fatto che, a distanza di cento anni, gli italiani sono ancora alle prese con la pesante eredità del fascismo che, trasformatosi da farsa in tragedia nel ventennio mussoliniano, continua a riproporsi sotto mentite spoglie. Mentre nell’oblio è caduta la figura coraggiosa del capitano dei Carabinieri, Guido Jurgens, che «negli anni successivi ebbe un importante ruolo (anche questo totalmente ignorato) nei mesi della resistenza romana, dove si distinse nell’aiuto agli ebrei del ghetto e nella creazione di una milizia partigiana a difesa della persona di Pio XII, che Hitler voleva far arrestare», come ricorda Arrigo Petacco.